Intervista ad Anna Dalton
Il 5 settembre 2019 è arrivato in libreria La ragazza con le parole in tasca di Anna Dalton, seguito de L’apprendista geniale (entrambi editi Garzanti), secondo capitolo della trilogia in cui racconta le avventure della determinata Andrea Doyle con una contemporaneità disarmante.
In occasione dell’uscita del nuovo romanzo dell’autrice a ottobre, vi proponiamo l’intervista ad Anna Dalton fatta lo scorso anno a Milano.
Da cosa è nata l’dea che ha dato origine alla trilogia?
La prima idea è stata quella di parlare di amicizia. Volevo proprio parlare di un gruppo di amici e di interdipendenza tra amici. Volevo parlare di un gruppo in cui l’amicizia fosse fondamentale. Non una cosa “in più” per la vita della protagonista. E a quell’età è fondamentale avere amici attorno che la dimostrano.
Il personaggio di Andrea rappresenta la tipica ragazza che fino a ieri sarebbe rientrata nel prototipo della studentessa considerata un po’ “sfigata”, mentre oggi è esattamente una di noi, con la sua normalità. Forse sarebbe stato molto più strano se nel libro avessi raccontato di Barbie (la ragazza più popolare del college, ndr). È proprio questo che fa sì che la amiamo così tanto? Perché possiamo immedesimarci perfettamente in lei?
Sì, è vero. Quella dell’underdog che poi si fa rivalere è una figura che torna spesso. Io credo che sia fondamentalmente più interessante leggere di qualcuno che fa fatica. Personalmente amo quei personaggi che arrivano nelle situazioni e dicono o pensano «e ora? Che ne sarà di me?». E tra l’altro trovo che sia un tema sempre attuale. Proprio in questi giorni, girando sui social si notano tantissimi post di mamme famose come Julia Roberts, che accompagnano i bambini per il primo giorno di scuola e si raccomandano di rivolgere sempre una parola ai nuovi compagni. O di avvicinarsi a coloro che stanno da soli, perché non si sa mai cosa stanno vivendo. In realtà sembra un cosa normalissima ma ancora accade, e molto anche. Soprattutto tra i più giovani.
Se si presta attenzione durante la lettura, si nota come tu abbia inserito molti temi importanti, a volte sdrammatizzando con un pizzico di ironia.
Mi fa piacere che si sia notato, ci ho provato. Ovviamente senza alcuna pretesa di aver scritto cose profonde o che cambino la vita di qualcuno, ma per me sono temi davvero importanti. Ho scelto bene di cosa parlare, ho dedicato molta attenzione all’individuazione di questi argomenti. Per esempio il fatto di aver inserito a pagina 2 il migliore amico gay come compagno di stanza al College. Per me è una cosa ovvia, per molti no. Come altre. Non mi sognerei mai di fare del proselitismo, però per me sono davvero temi importanti.
L’ambientazione a Venezia e la descrizione dettagliata dei paesaggi che circondano il LongJoy è molto importante per la storia. Mentre di San Neri, il paese di origine di Andrea, sappiamo solo che si trova in collina, nient’altro. Ovviamente cercando su internet non si trova nulla. Come mai la differenza di ambientazione tra “la città più bella del mondo” e il paesino inventato?
In realtà sì, San Neri non esiste. Ma non esiste nemmeno l’Isola dei Santi, quindi entrambi i due specifici luoghi d’ambientazione non sono reali. San Neri è al Nord, in mezzo alle montagne, verso l’Ovest… ma è proprio dalla mia fantasia. Mi dà molta più libertà parlare di qualcosa che ho creato io. Venezia invece é l’unico realismo e c’è perché secondo me ne vale davvero la pena. In realtà c’è molto di più nel secondo libro rispetto al primo. In fondo Venezia anche nel mondo vero è sempre un po’ un misto tra fantasia e magia, nella sua particolarità.
Perché hai scelto di ambientare la tua storia nel mondo del giornalismo?
Un po’ perché l’avevo studiato all’università, e avevo un fondo teorico su cui basarmi. Un po’ perché stavamo vivendo un momento storico in cui percepivo molto astio e negatività nei confronti dei giornalisti. Io lo reputo invece un lavoro importantissimo, fondamentale per la nostra quotidianità. È un lavoro per cui ci vuole moltissima passione e dedizione. Non è che dopo gli studi il posto fisso in redazione arrivi subito e sarà quello per tutta la vita. C’è un po’ di parallelismo tra questo e la professione di attore (A. Dalton è anche attrice, ndr). Personalmente, a Venezia ci sono stata una sola volta durante la Mostra del Cinema e devo dire che non fa per me. Amo Venezia il 20 di gennaio, senza nessuno in giro! Mi piace molto l’atmosfera d’inverno, nei caffè con i maglioni e la cioccolata calda. È la parte che amo veramente di Venezia.
Come la protagonista che si siede ai banchi della scuola per il secondo anno, anche Anna Dalton si è seduta alla scrivania davanti a questa storia per la seconda volta. Come è stato riprendere a scrivere qualcosa che avevi lasciato Sempre entusiasmante o in qualche modo anche “spaventoso” o inaspettato?
Devo dire che avevo un po’ paura perché come dice Caparezza «il secondo album è sempre più difficile». Temevo un po’. Ma in realtà poi non ci ho pensato proprio per niente e sono andata avanti veloce. Nella mia testa erano tre libri già dall’inizio, e quindi sapevo benissimo dove la protagonista sarebbe arrivata. Certo, alcune variabili non sono chiarissime, nel senso che poi vengono modificate, integrate. E poi si tratta di personaggi talmente pieni di cose che potrebbero fare, che la possibilità di sviluppo è infinita. Ed è proprio il motivo per cui io desideravo scriverne tre: volevo dargli tempo, cose da fare, persone da incontrare, che ognuno facesse il suo percorso. E poi mi affeziono, inutile dirlo!
Quest’intervista ad Anna Dalton è apparsa precedentemente su Devilishly Stylish.